In un modo probabilmente impossibile fino a qualche anno fa, Facebook permette oggi alle marche di aggregare le persone in un unico luogo, instaurare un rapporto diretto con loro e intrattenere conversazioni rilevanti. Un’opportunità enorme sia per i love brand con pagine da milioni di fan, sia per le piccole aziende radicate nel territorio che si fermano tre zeri prima, le organizzazioni o i personaggi pubblici. È il classico caso in cui le dimensioni non contano, ma a contare è il tipo di relazione, e la sua coerenza con i propri obiettivi di comunicazione.
Un’opportunità che va colta nel modo giusto. Un recente articolo di Ekaterina Walter su Fast Company indaga la questione da una prospettiva interessante: quanti feedback negativi ricevono le pagine? Ovvero, in altri termini: quante relazioni rischiano di interrompersi, e perché questo avviene?
Secondo uno studio di PageLever, il 2% delle visualizzazioni dei post genera dei feedback negativi. In questi casi, due volte su tre l’utente decide di nascondere tutti i successivi aggiornamenti della pagina dal proprio newsfeed, mentre gli altri comportamenti negativi, in ordine di frequenza, sono l’hide al singolo post, la segnalazione della pagina come spam e l’unlike.
Perché succede questo? Riprendo in negativo le soluzioni che individua la Walter:
- Topic: i contenuti sono inaspettati (in senso negativo) e non rispettano le aspettative degli iscritti alla pagina.
- Voice: il tono di voce è disorientante, è cambiato troppo spesso e non è riconoscibile.
- Frequency: non è bello trovarsi in timeline cinque post dello stesso brand nel giro di un’ora, no?
La combinazione di questi tre fattori può spiegare ad esempio perché le persone segnalano una pagina come spam più volentieri di quanto tolgano il like: in quel caso non è il brand ad essere sbagliato, ma i contenuti che propone. Non bisogna dimenticare, infatti, che Facebook è sì un’opportunità per le marche, ma lo è soprattutto per le persone: se si accorgono di aver sbagliato posto, semplicemente lo lasciano.
A volte il problema può anche essere il modo in cui in quel posto ci si è arrivati. Un altro motivo per cui le dimensioni non contano è proprio questo: l’ampiezza della fanbase non è un valore se non è accompagnata dalla sua qualità, e quando invece è semplicemente il risultato di strategie di acquisizione (anche adv) non coerenti, la possibilità che i feedback siano negativi aumenta.È invece normale e giusto che ci siano livelli di engagement diversi tra i fan. A un nucleo di persone attive e estremamente coinvolte (la vera e propria community) si aggiungono tutti coloro che sono in qualche modo interessati al mondo del brand.
La sfida del social media marketing che ha come obiettivo il customer engagement è proprio questa: instaurare relazioni con le persone partendo dall’ascolto, dando loro i contenuti a cui tengono davvero, con l’ampiezza e l’approfondimento giusti a tenere insieme coerentemente tutta la fanbase. Limitare così i feedback negativi, e creare le condizioni per il passaparola positivo. La conversazione e il customer engagement sono i veri valori: per le marche e per le persone.