Spoiler su questo articolo! Chiunque sostenga di avere la ricetta segreta per comunicare correttamente dopo la fine del lockdown o è un visionario o è Marty McFly tornato dal futuro a bordo della DeLorean.
Pausa pubblicitaria. Una musica di pianoforte accompagna le immagini di un drone che sorvola aziende, supermercati, piazze vuote. Stacco. Ritratti di impiegati, commessi, magazzinieri, trasportatori e, un po’ come le virgole nella punteggiatura di un discorso, medici e infermieri con guanti e mascherine. Una voce impostata e melliflua, di un doppiatore famoso o, magari, di una star del cinema italiano, recita un testo in cui spiccano parole come: orgoglio, forza, insieme, uniti, resistere e, infine, l’immancabile GRAZIE.
Ed ora, piccolo quiz! Di quale brand è lo spot che abbiamo appena descritto? Impossibile scoprirlo, perché manca la presenza proprio di quell’elemento che lo renderebbe distinguibile dagli altri: il prodotto o la marca.
La comunicazione al tempo della pandemia
Quella che vi abbiamo appena descritto è, più o meno, la sintesi di ciò che è stato messo on air in tv, pubblicato online e stampato sui giornali dai primi giorni di marzo a oggi, un’accalorata serie di messaggi di ringraziamento, di incitamento, di “stringiamoci insieme” che ha costituito la linea di comunicazione dei principali brand italiani (per non parlare dei brand all’estero: vedi questo link).
Per chi fa il “mestiere della comunicazione” tutto questo non avrebbe avuto senso fino a qualche mese fa. La sfida che ha sempre accompagnato brand e agenzie (talvolta riuscita, altre no) è quella di distinguersi nel messaggio e nel racconto visivo. Trovare la chiave per rendere rilevante un prodotto, per rendere memorabile la marca nella mente del consumatore è dai tempi di Madison Avenue l’obiettivo principale della comunicazione.
Abbiamo però specificato che questo modus operandi sarebbe stata la norma “fino a qualche mese fa”, quando lo tsunami della pandemia e del lockdown ha investito e sconvolto il mercato dei consumi, le abitudini delle persone, la vita in generale. Trasportati da un giorno all’altro in una “bolla”, tutti abbiamo dovuto fare i conti con una nuova realtà, anche le aziende e le agenzie di comunicazione.
Ma, sul risultato degli sforzi fatti in questo periodo, per continuare a restare connessi con i consumatori, francamente, non ce la sentiamo di puntare il dito contro. Certamente c’è chi è riuscito a distinguersi anche in questo contesto – guardate il bellissimo spot Honda, quello di Budweiser o di Heineken. Ci sono però fattori oggettivi che hanno spinto molti di loro a convergere spontaneamente verso una “generic communication of gratitude”:
-
- Elevato rischio di comunicare un messaggio fuori contesto: in una situazione nebulosa, in cui non ci sono orizzonti definiti, senza la certezza di cosa cambierà domani o la settimana prossima, cercare di essere originali, fuori dagli schemi, assertivi, rischia di non trovare terreno fertile e di dire “la cosa sbagliata nel momento sbagliato”. La possibilità di offendere qualcuno, risultare insensibili, magari ridicoli è proprio dietro l’angolo.
- Impossibilità di realizzare shooting: è vero che esistono i droni. E infatti si sono realizzati più scenari aerei delle città vuote in due mesi di quelli che hanno visto i piloti alleati durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. È vero che ormai basta un buon smartphone per girare un video, ma senza troupe, luci, trucco e parrucca, props e tutto il resto… dov’è la magia della comunicazione? È vero anche che esistono materiali d’archivio o banche video/foto online, ma è anche vero che spesso sono la fiera del generico.
- Impossibilità di mantenere la promessa di marca: se sei un brand che produce auto o moto o che promette esperienze di libertà, se il tuo prodotto eccelle quando consumato in compagnia di amici o è necessario per viaggiare… o stai zitto o dici qualcos’altro. Come Honda.
- Un insight poco originale ma molto condiviso: è oggettivo che questa situazione abbia diffuso una forte empatia nazional popolare, che abbia resuscitato sentimenti fino a qualche tempo fa considerati buonisti, ora semplicemente buoni.
Accanto a chi si è uniformato al trend di comunicazione che dice “grazie”, c’è anche chi ha agito in un senso completamente opposto: facendo finta di niente. Non è raro vedere in tv o sui social la stessa comunicazione pre virus che racconta contesti o messaggi adesso irrealizzabili o che esprime emozioni poco condivisibili dalla maggior parte del pubblico.
La comunicazione nell’immediato futuro
La questione, adesso, non è capire chi ha fatto bene o chi ha fatto male. Il vero nodo da sciogliere è come andremo a fare comunicazione domani, tra qualche settimana, tra qualche mese. Insomma quando a poco a poco rientrerà la normalità. O, meglio, una nuova normalità in un continuo e fluido divenire. Dovremo semplicemente fare un rewind e tornare ai linguaggi e messaggi pre-virus o dovremo affrontare un nuovo modo di fare comunicazione?
Sicuramente non fare quello che stiamo facendo oggi. Tra poco riaccenderemo la luce su una società diversa, che non avrà più voglia né bisogno di sentirsi dire “grazie” o di un ottimismo troppo ottimista. Non vorrà neppure sentirsi dire che “non è successo niente” e che “tutto è come prima”. Per una ragione molto semplice: non è vero.
Troppe cose sono cambiate e cambieranno ancora. E saranno proprio quelle che dovranno studiare e analizzare aziende e agenzie per evolvere:
- Cambierà il concetto di spazio: siamo passati da un mondo con orizzonti infiniti a una costrizione in pochi metri quadri. Per due mesi siamo stati collegati al resto del mondo in forma digitale. C’è voglia di libertà ma sarà una libertà limitata a spazi e modalità in sicurezza. Si tornerà a vivere situazioni di comunità ma quegli spazi verranno vissuti in modo differente.
- Cambierà il concetto di tecnologia: l’isolamento forzato ha accelerato la digitalizzazione (qui una nostra riflessione riguardo proprio la Digital Transformation) di persone e famiglie (pensiamo solamente alla scuola a distanza) e ha permesso di comprendere il valore di quegli strumenti e servizi davvero necessari e di quelli, invece, superflui.
- Cambierà il concetto di tempo: se prima il tempo era atomizzato in mille micro attività e impegni, oggi e forse domani le nostre giornate avranno una dimensione più dilatata. Per alcuni sarà un problema incastrare tutto in slot temporali più a “blocchi”, per altri la vera paura sarà la noia.
- Cambierà il concetto di responsabilità: chi più chi meno, l’emergenza ci ha costretto a fare i conti con le nostre responsabilità, di persone ma anche di cittadini. Da un lato, per la prima volta abbiamo seguito regole non solo per etica ma per obbligo, dall’altro è cresciuta spontaneamente la sensibilità e l’attenzione verso i comportamenti virtuosi. Anche delle aziende.
- Cambierà il concetto di persona: l’isolamento ha portato a rivedere il concetto di individuo e di socialità. Lo “stare insieme” non presume più necessariamente il contatto fisico. È caduta la barriera tra immagine pubblica e privata (molto banalmente tutti hanno visto in call l’interno delle case degli altri). La famiglia ha assunto un ruolo ancora più fondamentale di quello che aveva prima. Le relazioni con gli altri sono e saranno sempre più selezionate: se posso vedere meno persone, devono essere di valore.
Ecco, le persone, i pubblici, i consumatori insomma. Dovranno essere loro il vero oggetto di analisi: in che direzione andranno, cosa pensano, che bisogni avranno?
Perché è ovvio che le emozioni e le preoccupazioni di questa primavera avranno un impatto forte sui bisogni nei prossimi mesi e, di conseguenza, sulla definizione di nuovi insight di comunicazione.
Potremmo riassumere il mood attuale in tre emozioni/preoccupazioni:
- Salute: siamo tutti preoccupati per la nostra salute e per quella della nostra famiglia
- Soldi: meno soldi da spendere in modo più oculato e selezionato e spesso poche certezze lavorative
- Futuro: non ci sono certezze né sul quando né sul come potremo tornare ad avere una quotidianità “normale”
I nuovi bisogni
Con un piccolo sforzo possiamo proiettarci tra qualche settimana, immaginando l’evoluzione di questo mood in nuove necessità:
- Bisogno di protezione: cercheremo luoghi, servizi e prodotti che garantiscano a noi e alla nostra famiglia esperienze “safe”.
- Bisogno di esorcizzare la paura: non potremo vivere focalizzati solamente sulla paura. Avremo voglia e bisogno di “staccare” ma in modo leggero e intelligente.
- Bisogno di recuperare il tempo perduto: due mesi non sono una vita, ma la sensazione di essere stati in letargo c’è. Vorremo goderci ogni singolo istante della libertà ritrovata, soddisfacendo desideri (accessibili) di cui siamo stati privati durante il lockdown.
- Bisogno di normalità: abitudini, quotidianità, socialità, spazi ed esperienze condivise. Cose che prima di marzo davamo per scontate saranno vissute come preziose.
La comunicazione ha sempre lavorato sui bisogni e sui desideri, traendone insight efficaci e originali. Ed è da qui che, probabilmente, dovrà ripartire la comunicazione per elaborare messaggi che vadano a toccare corde nuove.
Aziende e agenzie sono davanti a uno scenario inedito, a un episodio zero della comunicazione che non può avvalersi del classico “nelle puntate precedenti…”. La definizione della comunicazione di domani è un percorso che dovrà necessariamente unire brand e agenzie a partire da analisi sui pubblici, sulle abitudini, su canali e touchpoint. E non potrà essere gioco-forza una ricetta universale, ma una riflessione fluida e costante che si adatti velocemente ai cambiamenti sociali.
Un po’ come nella cucina moderna.
Noi, nella nostra agenzia, crediamo che in questo momento sia più importante avere ingredienti di qualità, tecniche affidabili e l’esperienza di professionisti piuttosto che affidarsi a “dogmi e teorie” che rischiano di non rappresentare il “vero” pubblico. È possibile che nel prossimo futuro il menu della comunicazione debba essere costruito con ingredienti inediti (i nuovi social, le nuove piattaforme di live streaming) o considerati fino ad ora meno rilevanti o superati (il face to face nell’on field, i micro tour territoriali, i blog tematici, etc.)
Spunterà “dal mucchio” chi si comporterà come viene chiesto oggi agli italiani: mettere da parte le vecchie abitudini e trovare nuove certezze.