Identità di genere. O identità e basta. Oppure solo genere. A me piace di più il termine neutralità. Il termine Core Gender, o identità di genere, indica “il genere in cui una persona si identifica (cioè, se si percepisce uomo, donna, o in qualcosa di diverso da queste due polarità)”. Essa non deriva dall’identità biologica della persona e non riguarda l’orientamento sessuale. Il focus è “si percepisce”. Paradigma secondo il quale, attraverso la contaminazione, l’integrazione, l’unione di mondi, la sovrapposizione di realtà, le identità sfumate e non nettamente divise, i codici di genere vengono completamente ribaltati. La moda oggi è questo. E la comunicazione ne è supporto, amplificando le potenzialità di corpi che dialogano e narrano storie che non hanno bisogno di etichette. Sono solo corpi. Così come gli abiti, sono solo tessuti che diffondono status, e non status symbol.
Le parole contengono altre parole, così come l’arte contiene altre forme d’arte, la fotografia, il cinema e molte altre forme di comunicazione. Andare in un luogo e fermarsi in altri mille luoghi. Guardare, scoprire, lasciarsi toccare da tutto ciò che ci circonda per disegnare una nostra idea di “cose”, è inquinamento comunicazionale. Questo è ciò che cercano le persone nella moda, un frullato di spunti. In questo contesto calza a pennello l’idea di moda di Alessandro Michele, il nuovo stilista di Gucci. Per lui gli accessori sono reliquie, macchine del tempo, e in passerella non pensa ad una collezione donna e una uomo, ma ad abiti che significano qualcosa solo in relazione alla linea, al corpo che li indossa. Tutto è libero da codici imposti. Qualcuno parla di “genderless” o di “gender free”, altri di “poli-gender“, altri ancora di “agender”. Il concetto è sempre lo stesso. Non sono gli oggetti che usiamo ad imporre un’identità, ma come vengono portati in giro, indossati, che vita loro viene data. Per fare un altro esempio a supporto: da Selfridges in Oxford Street a Londra, una catena britannica di grandi magazzini, viene azzerato il genere. Ci si sbarazza persino dei vecchi manichini che ricalcano l’anatomia femminile e maschile.
A chi non è capito di indossare la camicia del fidanzato? Oppure il maglione del papà? O di vedere un amico con la sciarpa dell’amica? Non è un paletto, è un’apertura mentale. Non ci sarebbero le community social se non ci fosse la multi-canalità, la combinazione di canali di comunicazione. Anche questo rientra nell’ambito “core gender”. Durante l’ultima edizione di Pitti Immagine Uomo 88 del 16 giugno, abbiamo assistito a molti esperimenti in questa direzione provenienti da marchi emergenti, italiani e non solo. Il fenomeno “core gender” indica sperimentazione. Io la penso così. Capi che diventano opzioni da combinare tra loro per creare qualcosa di nuovo. Opzioni neutre valide per tutti. In fondo lo stile à la garçonne esiste fin dagli anni ’40-’50. Evviva le sfumature. Evviva l’azzeramento delle etichette e la libertà di contaminazione.