Questa è una riflessione che parte dal real time marketing per cercare di capire una volta di più cosa vuol dire per una marca essere presente sugli spazi sociali online, parlare con le persone attraverso Facebook, Twitter o la prossima next big thing. Parto dall’inizio e ve la racconto così come l’ho pensata io, dopo avere letto tanti commenti sul tema.
Il caso di Oreo durante il blackout del Super Bowl è ormai una pietra miliare per chiunque faccia questo lavoro (e non solo). Ve lo dico come l’hanno detto tutti, perché il punto è quello: è stata una commistione di prontezza, creatività, scelta degli strumenti, che ha permesso a dei biscotti di diventare protagonisti delle conversazioni di milioni di persone, proprio durante l’evento che tutto l’advertising aspetta per un anno intero e in cui investe milioni di dollari.
L’exploit di Oreo è utile a questa riflessione per inquadrare subito il problema, ma ovviamente non si tratta di un caso isolato. Nel bene e nel male il real time marketing sui social media sta cominciando a diffondersi e la collezione di esempi rilevanti – anche durante lo stesso blackout al Super Bowl – potrebbe continuare. A partire da questo, si tratta però di capire se ci sia una lezione dietro: perché ha funzionato così tanto?
La risposta può iniziare dalla constatazione che c’è chi ha fatto produzione real time di contenuti ben prima di Oreo e probabilmente con un engagement maggiore. Mi riferisco alle persone, che lo fanno continuamente. Per fare un esempio recente, la velocità con cui il mio newsfeed si è riempita di fotomontaggi di Papa Francesco Totti dopo la fumata bianca è degna del più efficiente team di creativi. I meme nascono così. Ma, allargando il discorso, la produzione di contenuti real time è davvero continua: sono così gli status update, i tweet di commento alle trasmissioni televisive, ecc.
Le esecuzioni forse lasciano a desiderare, ma forse no. Non erano esecuzioni perfette per la brand equity dello studente 18enne che le ha realizzate? Non erano esecuzioni ottime per il mezzo di destinazione? Per quanto ci piaccia prendere in giro il TG1 quando parla di “popolo di Facebook/Twitter/Web”, è innegabile che con il tempo i diversi spazi sociali abbiano sviluppato dei linguaggi tutti loro e particolari, che in alcune forme estreme sono totalmente incomprensibili a chi ne sta fuori. Vale sia per la forma che per il contenuto, dal low fi ai calembour.
Rimettendo il marketing al centro del discorso, è il momento di aggiungere delle spiegazioni al successo del real time marketing di Oreo e simili. Io credo che la chiave sia nella decisione di parlare alle community facendone parte, essere presenti negli spazi sociali online accettandone i meccanismi e partecipando al gioco. Che non significa sostituirsi alle presenze amatoriali: anche in questi spazi le marche devono continuare a essere se stesse, portare avanti la propria identità, con la qualità della loro comunicazione. Quel tipo di real time marketing è prima di tutto un approccio, e allo stesso modo è possibile pianificare altri contenuti – d’altronde sono sicuro che ci sono anche persone che stanno già preparando delle immagini con gli auguri di Pasqua per stupire i propri amici.
Quello che è fondamentale è vivere completamente gli spazi sociali, monitorarli, avere con le community un rapporto paritario. Lo ripeto: farne parte. E non pensare di ripetere su questi canali schemi che qui sono estranei o, peggio, nascondersi dietro una conversazione artificiale.
Tornate all’header di questo post. Ecco, io penso che Hans l’Uomo Talpa sia un gran figo, ma se fa finta di essere Bart non ci casca nessuno (e fa pure un po’ ridere).