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Da Johnny Dorelli a Mark Zuckerberg: è tempo di social eating

Social_eating

O food surfing, se ci piace di più. Il principio di base, quello della condivisione, è lo stesso del couch surfing: “ti affitto il divano in low cost, lo vuoi”? Solo che, al posto del divano, questa volta c’è un tavolo, una cucina, un piatto di pasta o una pizza. Il mondo social sposa così il cibo. E sposa anche la crisi.

“Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più…” da Johnny Dorelli a Mark Zuckerberg. Nulla di più centrato. Da molto tempo capita in Inghilterra, e oggi anche in Italia si organizzano i pranzi e le cene “sociali” tra estranei, o tra persone che si conoscono solo “per sentito dire”. Ci si dà appuntamento online, c’è chi cucina e chi si fa ospitare, chi fa il padrone di casa e chi il trascinatore. Un piccolo contributo tra i 20 e i 50 euro, una location accogliente, e sicuramente un amico in più non solo su Facebook, ma nella vita.

Il passaparola avviene online o sui social network. Condividere è la keyword. Si crea un evento e si invitano persone. L’idea nasce come reazione alla crisi e si è trasformata con il tempo in una modalità alternativa di ristorazione. Con il tempo sono nati siti e associazioni portavoce di questa nuova tendenza: Gnammo, Ploonge, Kitchen Party, Ma’ hidden kitchen supper club, le “Cesarine” , sono alcuni esempi. Quest’ultima, è un’associazione senza scopo di lucro nata a Bologna nel 2004, nella quale si sono cimentate semplici appassionate di cucina tradizionale che di volta in volta aprono le porte della propria casa ad altri associati. Un modo alternativo per inventarsi un lavoro e per non dimenticarsi del significato dell’autentica ospitalità.

Ma a cosa ci fa pensare questo nuovo trend del social eating?

Ad un modo intelligente di miscelare tradizione e contemporaneità. Offline e online, detto in “pubblicitese”. Fin dagli antichi romani l’evento culinario ha fondamentale importanza, e Robin Fox in un suo saggio “Food and Eating: An Anthropological Perspective” ce lo spiega così : “We have to eat; we like to eat; eating makes us feel good; it is more important than sex. It is also a profoundly social urge”.

By the way, lo stare a tavola tutti insieme, il piacere di raccontarsi la giornata e di guardarsi negli occhi, sentendosi empaticamente coinvolti è un microuniverso fatto di sensazioni. Un momento irrinunciabile di convivialità, uno spazio di condivisione eccezionale. E sulla sua irrinunciabilità pare non ci sia alcun dubbio. Il puro valore semantico della parola “sociale” è stato estratto. I social network hanno estrapolato l’essenza dello stare insieme, usando il food quale mezzo. E ne è uscito un gran bel progetto. Differenziato e differenziante. Persone diverse fra loro, con usi e occasioni di consumo totalmente differenti basati su stili di vita e tempi di dedizione spesso opposti e contrastanti, si prendono tempo e si ritrovano in un unico luogo. Un luogo fatto di quello che sono. Si fermano. Spostano la sedia. Si accomodano e si leccano i baffi.

Per chi non dovesse ricordare la canzone di Johnny Dorelli:

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